Fiaccolata per Pamela Genini

Redazione esterna

Il silenzio pesante di una comunità ferita. Basta, basta, basta.
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Milano si è stretta attorno alla famiglia della giovane 29 enne uccisa dal compagno con 30 coltellate, in un corteo silenzioso ma dal forte impatto emotivo

Il silenzio pesante di una comunità ferita è stato rotto soltanto dal suono delle chiavi agitate in aria e dalle parole gridate al megafono, mentre oltre un migliaio di persone hanno attraversato le strade del quartiere Gorla di Milano in memoria di Pamela Genini. La giovane donna di 29 anni, brutalmente assassinata dal compagno Gianluca Soncin con almeno trenta coltellate nella sua abitazione di via Iglesias, è diventata l’ennesimo simbolo di una piaga sociale che continua a mietere vittime in Italia. Una Smirnova, madre della vittima, ha guidato la fiaccolata con una candela accesa tra le mani, incarnando il dolore composto ma lacerante di chi ha perso una figlia nel modo più atroce. L’iniziativa, organizzata spontaneamente dagli abitanti e dai commercianti della zona, ha preso il via alle 17:30 di fronte alla panchina rossa installata nel 2023 proprio per ricordare le vittime di femminicidio, in una tragica coincidenza che rende ancora più amara questa vicenda. La panchina, situata a pochi passi dall’abitazione dove si è consumato il delitto, è diventata in questi giorni un luogo di pellegrinaggio, ricoperta di fiori, biglietti e messaggi di cordoglio.

La partecipazione massiccia ha sorpreso gli stessi organizzatori, dimostrando come la morte di Pamela abbia scosso profondamente non solo il quartiere ma l’intera città. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta “Per Pamela e per tutte”, un messaggio che estende il ricordo a tutte le donne vittime di violenza di genere. Dai palazzi circostanti sono stati esposti altri messaggi, tra cui uno particolarmente significativo: “Il possesso uccide”, che coglie l’essenza di molti casi di femminicidio, spesso motivati da un senso distorto di proprietà nei confronti della donna. Durante il percorso, i partecipanti hanno osservato momenti di silenzio alternati a slogan e interventi al megafono, creando un’atmosfera di riflessione collettiva che ha unito dolore e indignazione. “È stato molto bello, nella tragedia, vedere che il territorio ha risposto subito malgrado fosse sotto choc”, ha commentato l’assessora del Municipio 2, Donatella Ronchi, sottolineando la capacità della comunità di reagire compatta di fronte a eventi traumatici.

Le attiviste del movimento “Non una di meno”, che avevano contribuito a promuovere l’iniziativa attraverso i social media, hanno dato voce alla protesta con slogan incisivi come “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce” e “Lo stupratore non è malato, è il figlio sano del patriarcato”. Questi messaggi hanno evidenziato come il femminicidio non sia un evento isolato o frutto di patologie individuali, ma l’espressione estrema di una cultura patriarcale ancora radicata nella società contemporanea. Uno degli interventi più toccanti durante la marcia ha sottolineato che “il femminicidio è solo la punta dell’iceberg. Ogni donna ha subito o subirà prima o poi violenza. Ci sono tanti tipi di violenza”, ampliando la riflessione a tutte le forme di sopraffazione, dalle più evidenti a quelle più sottili e normalizzate. Significativo anche l’appello rivolto direttamente agli uomini: “Uomini, dateci una mano, svegliatevi. Aiutateci a costruire un mondo dove siamo tutti più liberi perché questo è il problema di base”, un invito alla responsabilizzazione collettiva che riconosce come la violenza di genere non sia un “problema delle donne” ma una questione sociale che richiede l’impegno di tutti.

Il corteo si è concluso poco prima delle 19 proprio sotto l’abitazione di Pamela (foto, al civico 33 di Via Igresias a Milano), dove i partecipanti hanno gridato ripetutamente il suo nome e hanno agitato le chiavi, un gesto simbolico che richiama il diritto di ogni donna a rientrare nella propria casa senza temere per la propria incolumità. In questo contesto di emozione collettiva si inseriscono anche le parole del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che a margine di un altro evento ha commentato la vicenda sottolineando l’importanza della denuncia: “Vedendo questa storia, è chiaro che Pamela stessa doveva denunciare, però chi è in una situazione quasi di ricatto fa fatica. Allora bisogna che la famiglia, la comunità e gli amici abbiano questo coraggio”. Il primo cittadino ha quindi lanciato un appello chiaro: “Se si sbaglia a fare una denuncia in più, amen. Ma non farla può portare a situazioni del genere. Quindi il richiamo è che chi ha segnali denunci, denunci, denunci”.

Il caso di Pamela Genini si inserisce in un quadro allarmante di violenza di genere in Italia, dove i femminicidi continuano a rappresentare un’emergenza sociale. Secondo i dati più recenti, nel nostro paese una donna viene uccisa ogni tre giorni per mano di un partner o ex partner, in un crescendo di violenza che spesso si manifesta attraverso segnali premonitori ignorati o sottovalutati. L’omicidio della giovane milanese, colpita con oltre trenta coltellate, rivela la brutalità e l’accanimento tipici dei delitti passionali, dove la violenza esplode proprio nel momento in cui la donna cerca di affermare la propria autonomia o di interrompere una relazione diventata tossica. La reazione della comunità di Gorla dimostra tuttavia una crescente consapevolezza sociale sul tema e una volontà di reagire collettivamente, rifiutando la narrativa del “delitto passionale” a favore di una lettura più corretta che riconosce nel femminicidio l’espressione estrema di una cultura di controllo e possesso.

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