Le Cinque Giornate di Milano: quando il popolo scrisse la storia del Risorgimento Italiano
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L'insurrezione conosciuta come "Le Cinque Giornate di Milano", verificatasi tra il 18 e il 22 marzo 1848, è parte integrante della nostra storia.
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Analisi storico-sociale di un episodio fondamentale nel processo di unificazione nazionale: dinamiche, protagonisti e conseguenze politiche (1848)

L’insurrezione popolare conosciuta come “Le Cinque Giornate di Milano”, verificatasi tra il 18 e il 22 marzo 1848, rappresenta uno degli episodi più significativi del Risorgimento italiano e un momento cruciale nel processo di costruzione dell’identità nazionale. Questo evento storico, inserito nel più ampio contesto europeo delle rivoluzioni liberali del 1848, non fu un semplice moto di ribellione isolato, ma l’espressione concreta di aspirazioni politiche, sociali e culturali che andavano maturando da tempo nella società lombarda e italiana. Il presente articolo intende offrire un’analisi approfondita di questo fenomeno storico, evidenziandone le cause, lo svolgimento, i protagonisti e le conseguenze nel breve e lungo periodo.

La Milano della prima metà dell’Ottocento si presentava come una città in piena trasformazione. Sotto il dominio austriaco dal 1815, in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna, il capoluogo lombardo era diventato un importante centro economico e culturale, con una borghesia industriale e intellettuale sempre più consapevole e desiderosa di partecipazione politica. Il contesto sociale in cui maturarono i moti del 1848 era caratterizzato da una crescente insofferenza verso il governo austriaco, percepito come oppressivo e limitante delle libertà fondamentali. L’Austria del cancelliere Metternich aveva instaurato un sistema di controllo rigido, con una censura pervasiva e una polizia efficiente nel reprimere qualsiasi forma di dissenso. Tuttavia, la repressione non impedì lo sviluppo di idee liberali e patriottiche, che trovavano espressione nei salotti intellettuali, nelle società segrete e nelle pubblicazioni clandestine.

Il malcontento economico giocò un ruolo significativo nel preparare il terreno alla rivolta. La politica fiscale austriaca imponeva pesanti tasse sulla popolazione lombarda, mentre le risorse venivano spesso dirottate verso Vienna. Questo sistema, unito a una serie di annate agricole negative e a crisi economiche cicliche, aveva creato un diffuso disagio che attraversava diversi strati della società. La carestia del 1846-1847, che colpì duramente l’Europa, aggravò ulteriormente la situazione, portando a un aumento dei prezzi dei generi alimentari e a tensioni sociali nelle campagne e nelle città.

Il 1848 si aprì in un clima di grande fermento politico in tutta Europa. La rivoluzione scoppiata a Parigi in febbraio, che portò alla caduta della monarchia di Luigi Filippo e alla proclamazione della Repubblica, ebbe un effetto galvanizzante sui movimenti liberali e nazionali del continente. La notizia degli eventi francesi raggiunse rapidamente Milano, alimentando le speranze di un cambiamento anche in Lombardia. Quando, a marzo, giunsero notizie delle concessioni costituzionali a Vienna e della rivolta di Budapest, l’atmosfera nella città divenne elettrica.

Il 17 marzo 1848 arrivò a Milano la notizia della concessione di una costituzione da parte dell’imperatore Ferdinando I d’Austria. Questo annuncio, anziché placare gli animi, accese ulteriormente le speranze di maggiori libertà. Il giorno seguente, il 18 marzo, gruppi di cittadini si radunarono davanti al Palazzo del Governo (oggi Palazzo Reale) per chiedere l’abolizione della censura e la formazione di una guardia civica. La tensione aumentò rapidamente e, quando le autorità austriache risposero con durezza, la situazione degenerò in scontri aperti. Un episodio emblematico fu l’uccisione del direttore di polizia O’Donnel, catturato dalla folla inferocita ma salvato dall’intervento di Carlo Cattaneo, figura di spicco dell’intellighenzia milanese, che riuscì a sottrarlo al linciaggio.

La risposta del Feldmaresciallo Josef Radetzky, comandante delle forze militari austriache in Lombardia, fu immediata e severa. Dichiarata la legge marziale, ordinò alle truppe di presidiare i punti strategici della città e di reprimere con la forza ogni manifestazione. Questo atteggiamento intransigente, tuttavia, non fece che rafforzare la determinazione dei milanesi, che cominciarono spontaneamente a organizzare la resistenza. In poche ore, la città si trasformò in un campo di battaglia urbano, con barricate che sorsero in ogni via e quartiere.

La prima giornata dell’insurrezione (18 marzo) vide scontri sporadici ma intensi in vari punti della città. I cittadini, inizialmente armati di bastoni, pietre e qualche arma da fuoco, affrontarono i soldati austriaci in un combattimento impari. Tuttavia, l’entusiasmo popolare e la conoscenza dei vicoli e delle strade diedero un vantaggio agli insorti. Durante la notte, la costruzione delle barricate proseguì febbrilmente, utilizzando ogni tipo di materiale disponibile: mobili, carrozze, selciato delle strade.

La seconda giornata (19 marzo) si caratterizzò per un’organizzazione più strutturata della rivolta. Un Consiglio di Guerra, formato da notabili cittadini come Carlo Cattaneo, Enrico Cernuschi, Giorgio Clerici e altri, prese in mano la direzione dell’insurrezione. Si formarono comitati di difesa nei vari quartieri, mentre volontari di ogni estrazione sociale – dalla borghesia agli artigiani, dagli studenti agli operai – si unirono alla lotta. Le donne ebbero un ruolo cruciale, non solo assistendo i feriti ma anche partecipando attivamente alla costruzione delle barricate e, in alcuni casi, ai combattimenti.

Il terzo giorno (20 marzo) segnò un punto di svolta. Gli insorti riuscirono a conquistare alcuni edifici strategici, come il Palazzo del Genio e la caserma di San Simpliciano, acquisendo armi e munizioni. Le truppe austriache, che inizialmente avevano mantenuto il controllo del centro cittadino, cominciarono a ritirarsi verso il Castello Sforzesco e altri punti fortificati. Radetzky, constatando la difficoltà di controllare una città in piena rivolta, decise di adottare una strategia più cauta, concentrando le sue forze nelle posizioni difendibili.

Il quarto giorno (21 marzo) fu caratterizzato da intensi combattimenti attorno ai principali bastioni austriaci. I milanesi, ormai meglio armati e organizzati, lanciarono attacchi coordinati contro le posizioni nemiche. Un episodio significativo fu la conquista di Porta Tosa (oggi Porta Vittoria), che permise l’ingresso in città di rinforzi dalle campagne circostanti. La notizia dell’insurrezione milanese, infatti, si era rapidamente diffusa nei territori lombardi, suscitando movimenti di solidarietà e l’arrivo di volontari da Como, Bergamo, Brescia e altre località.

Il quinto e ultimo giorno (22 marzo) vide il completamento della liberazione di Milano. Le truppe austriache, ormai demoralizzate e a corto di rifornimenti, ricevettero l’ordine di evacuare la città. Radetzky, temendo di rimanere isolato e consapevole della rivolta che si stava estendendo in altre città lombarde e venete, decise di ritirarsi verso il Quadrilatero (sistema difensivo formato dalle fortezze di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago). L’ultimo baluardo austriaco a cadere fu il Castello Sforzesco, abbandonato nella notte del 22 marzo. La mattina del 23 marzo, Milano si svegliò libera, dopo cinque giorni di combattimenti che avevano causato centinaia di morti e feriti da entrambe le parti.

La vittoria dei milanesi ebbe un effetto galvanizzante in tutta Italia. Carlo Alberto, re di Sardegna, spinto dall’entusiasmo popolare e dalle pressioni dei liberali, dichiarò guerra all’Austria il 23 marzo, dando inizio alla Prima Guerra d’Indipendenza. A Milano, intanto, si formò un governo provvisorio presieduto da Gabrio Casati, con rappresentanti delle diverse correnti politiche: moderati, democratici, repubblicani. Tuttavia, proprio sulla questione dell’assetto istituzionale da dare alla Lombardia liberata emersero le prime divisioni. Cattaneo e i repubblicani federalisti sostenevano la creazione di una repubblica indipendente, mentre i moderati guidati da Casati propendevano per la fusione con il Regno di Sardegna sotto la corona sabauda.

L’euforia della vittoria non durò a lungo. L’esercito sardo, nonostante alcuni successi iniziali, non riuscì a sconfiggere definitivamente le forze austriache. Radetzky, riorganizzate le sue truppe, contrattaccò e, nella battaglia di Custoza (23-25 luglio 1848), inflisse una pesante sconfitta ai piemontesi. Carlo Alberto fu costretto a firmare l’armistizio di Salasco (9 agosto) e a ritirarsi oltre il Ticino. Il 6 agosto 1848, appena quattro mesi dopo la loro eroica liberazione, i milanesi videro gli austriaci rientrare in città.

La sconfitta militare non cancellò, tuttavia, il significato profondo delle Cinque Giornate. L’insurrezione milanese aveva dimostrato che la lotta per l’indipendenza italiana non era solo un’aspirazione di élite intellettuali, ma un sentimento capace di mobilitare ampi strati della popolazione. La partecipazione trasversale alla rivolta – borghesi, artigiani, operai, donne, religiosi – aveva posto le basi per un concetto più inclusivo di nazione. Inoltre, l’esperienza di auto-organizzazione vissuta durante l’insurrezione lasciò un’eredità importante nella cultura politica e civile non solo di Milano, ma dell’Italia intera.

Le Cinque Giornate di Milano entrarono rapidamente nel pantheon simbolico del Risorgimento italiano. Numerosi furono i monumenti, le targhe e le opere d’arte dedicate a questo evento. Particolarmente significativo è il monumento alle Cinque Giornate, inaugurato nel 1895 in piazza Cinque Giornate a Milano, opera dello scultore Giuseppe Grandi. La memoria di questa insurrezione alimentò il mito fondativo dell’unità nazionale, contribuendo a rafforzare il sentimento patriottico anche negli anni successivi.

Dal punto di vista storiografico, le interpretazioni delle Cinque Giornate sono evolute nel tempo. Se la storiografia risorgimentale e post-unitaria ha enfatizzato principalmente gli aspetti patriottici e nazionali della rivolta, studi più recenti hanno messo in luce la complessità sociale e politica dell’evento, evidenziando le diverse componenti ideologiche e le tensioni interne al movimento rivoluzionario. Particolarmente significativo è stato il contributo di storici come Franco Della Peruta e Nicola Raponi, che hanno approfondito il ruolo delle classi popolari e delle dinamiche sociali nell’insurrezione.

In conclusione, le Cinque Giornate di Milano rappresentano un episodio fondamentale nella storia del Risorgimento italiano, non solo per il loro significato militare e politico immediato, ma per il loro valore simbolico e culturale nel lungo periodo. Attraverso questo evento, è possibile comprendere le complesse dinamiche sociali, politiche e ideologiche che caratterizzarono il processo di unificazione nazionale. La capacità di auto-organizzazione dimostrata dai milanesi, l’emergere di nuove forme di partecipazione politica, il dialogo e lo scontro tra diverse visioni del futuro nazionale, sono tutti elementi che fanno delle Cinque Giornate non solo un momento eroico di resistenza anti-austriaca, ma un laboratorio di cittadinanza e un passaggio cruciale nella costruzione dell’identità italiana.

Le Cinque Giornate di Milano ci insegnano, infine, che la storia non è fatta solo di grandi personaggi e decisioni diplomatiche, ma anche dell’azione collettiva di uomini e donne comuni che, in circostanze straordinarie, possono diventare protagonisti del cambiamento storico. È questa, forse, la lezione più importante che possiamo trarre da quegli eventi lontani, una lezione di partecipazione civile e di responsabilità collettiva che mantiene intatta la sua attualità nel mondo contemporaneo.

La battaglia di Custoza

La Prima battaglia di Custoza si svolse il 24 e 25 luglio 1848, nel contesto della Prima guerra d’indipendenza italiana. In quel momento storico, l’ondata rivoluzionaria che aveva attraversato l’Europa aveva incoraggiato il Regno di Sardegna, guidato da Carlo Alberto, a dichiarare guerra all’Austria per liberare il Lombardo-Veneto dal dominio asburgico. Dopo alcuni successi iniziali, l’esercito sardo-piemontese si trovò a fronteggiare le truppe austriache guidate dal feldmaresciallo Josef Radetzky, un comandante esperto e determinato che, nonostante i suoi 82 anni, era riuscito a riorganizzare le forze imperiali dopo le iniziali sconfitte.

Il 24 luglio, le forze italiane si disposero su un fronte troppo esteso, da Rivoli fino a Mantova, disperdendo le proprie unità e rendendo difficile il coordinamento. Radetzky, al contrario, concentrò le sue truppe nella zona di Custoza e Sommacampagna, attaccando con decisione. Il caldo torrido e la mancanza di approvvigionamenti adeguati contribuirono a indebolire le forze piemontesi. Il re Carlo Alberto, che dirigeva personalmente le operazioni, non riuscì a contrapporre una strategia efficace all’avanzata austriaca. Dopo due giorni di combattimenti intensi, l’esercito piemontese fu costretto a ritirarsi verso Milano.

Le conseguenze della sconfitta furono pesanti: Milano fu abbandonata agli austriaci, il sogno di una rapida unificazione italiana sotto la guida sabauda si infranse, e Carlo Alberto dovette firmare l’armistizio di Salasco il 9 agosto 1848. Questa disfatta segnò il sostanziale fallimento della Prima guerra d’indipendenza, nonostante il tentativo di ripresa della guerra l’anno successivo, conclusosi con la definitiva sconfitta di Novara nel marzo 1849, che portò all’abdicazione di Carlo Alberto in favore del figlio Vittorio Emanuele II.

Diciotto anni dopo, il 24 giugno 1866, sullo stesso campo di battaglia si consumò la Seconda battaglia di Custoza, durante la Terza guerra d’indipendenza. Il contesto internazionale era completamente mutato: l’Italia era ormai un regno unificato (seppur ancora privo di Roma e del Veneto), alleato della Prussia nella guerra contro l’Austria. L’esercito italiano, guidato dal generale Alfonso La Marmora e con il re Vittorio Emanuele II presente sul campo, si trovò nuovamente a confrontarsi con le forze austriache comandate dall’arciduca Alberto d’Asburgo.

Il piano italiano prevedeva l’attraversamento del Mincio e l’avanzata verso il quadrilatero fortificato austriaco (Peschiera, Mantova, Verona e Legnago). Tuttavia, gli italiani sottovalutarono la rapidità di reazione austriaca e si trovarono impegnati in uno scontro non pianificato in condizioni sfavorevoli. Le divisioni italiane avanzarono in modo disordinato e senza un efficace coordinamento, mentre gli austriaci, numericamente inferiori ma meglio posizionati, sfruttarono la loro conoscenza del terreno e la posizione dominante sulle colline.

I combattimenti furono particolarmente intensi attorno alle alture di Monte Croce, Monte Torre e Belvedere. Episodi di grande valore si registrarono da entrambe le parti, come la difesa di Villa Moretta da parte delle truppe italiane. Tuttavia, la frammentazione del comando italiano, con ordini contraddittori e mancanza di comunicazione tra le diverse unità, impedì di sfruttare anche i successi locali. Al termine della giornata, nonostante le forze in campo fossero numericamente paragonabili, l’esercito italiano si ritirò oltre il Mincio, segnando una seconda sconfitta a Custoza.

Paradossalmente, questa disfatta non impedì all’Italia di ottenere il Veneto al termine del conflitto. Infatti, mentre l’esercito italiano subiva la sconfitta a Custoza e la flotta quella di Lissa nell’Adriatico, l’alleata Prussia riportava una decisiva vittoria a Sadowa (Königgrätz) contro l’Austria, costringendola a cedere il Veneto alla Francia, che lo trasferì poi all’Italia. Questo esito diplomatico mitigò le conseguenze militari della sconfitta, ma lasciò un profondo segno nella coscienza nazionale e nell’orgoglio militare italiano.

Le battaglie di Custoza, al di là del loro esito militare, offrono importanti spunti di riflessione sulla storia del Risorgimento italiano. Mostrano come il processo di unificazione non sia stato un percorso lineare di vittorie, ma un cammino accidentato fatto anche di sconfitte e battute d’arresto. Evidenziano inoltre i limiti organizzativi e strategici dell’esercito italiano in formazione, che spesso dovette affrontare un avversario più esperto e meglio strutturato.

A livello simbolico, Custoza è divenuta nell’immaginario collettivo italiano un luogo che rappresenta sia il sacrificio dei soldati italiani sia la determinazione di un giovane stato a perseguire il proprio completamento territoriale nonostante le avversità. I monumenti eretti sul campo di battaglia, come l’Ossario di Custoza inaugurato nel 1879, testimoniano il rispetto per tutti i caduti di queste battaglie, al di là della loro nazionalità.

 

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