Una transizione gestita con successo può rafforzare l’autostima, la motivazione e le competenze
Il Passaggio dalla Scuola Primaria alla Secondaria tra Sfide Evolutive e Supporto Genitoriale
Il passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria di primo grado rappresenta una delle transizioni più significative e complesse nel percorso di crescita di un individuo. Lungi dall’essere un mero cambiamento logistico o un semplice avanzamento di grado accademico, questo momento si configura come un autentico rito di passaggio, un varco che segna l’uscita da un’infanzia protetta e l’ingresso in una fase di profonda ristrutturazione identitaria. La sua eccezionale criticità risiede in una coincidenza temporale che non è affatto casuale: la transizione scolastica si innesta nel cuore della preadolescenza, un periodo, convenzionalmente collocato tra gli 11 e i 14 anni, definito da una vera e propria “tempesta perfetta” di cambiamenti fisici, cognitivi ed emotivi.
In questa fase, i ragazzi e le ragazze vivono l’irruzione della pubertà, con trasformazioni corporee rapide e talvolta disorientanti, fluttuazioni ormonali che generano instabilità emotiva e una crescita fisica tangibile di settimana in settimana. Il corpo, fino a quel momento relativamente stabile, diventa un oggetto di esplorazione, ma anche una potenziale fonte di imbarazzo, preoccupazione e vergogna. Parallelamente, le capacità cognitive si evolvono, aprendo la strada al pensiero astratto, critico e ipotetico-deduttivo. È proprio in questo contesto di tumulto interiore che si inserisce la sfida esterna del cambio di scuola. Le due dinamiche, quella evolutiva interna e quella ambientale esterna, non procedono su binari paralleli, ma si intrecciano e si amplificano a vicenda in un dialogo costante e spesso conflittuale.
L’ambiente scolastico secondario, con le sue nuove richieste e le sue complesse architetture sociali, diventa l’arena principale in cui si manifestano e si mettono alla prova i compiti evolutivi centrali della preadolescenza: la ricerca di una nuova identità (“Chi sono io? Come sono fatto?”), il bisogno crescente di autonomia e la rinegoziazione delle relazioni con i pari e con gli adulti. La transizione, quindi, non è semplicemente uno sfondo su cui si svolge il dramma della crescita, ma agisce come un potente catalizzatore, un acceleratore che costringe il preadolescente a confrontarsi con le proprie paure e le proprie risorse in un contesto inedito e ad alta intensità. Comprendere la profondità di questa interazione è il primo passo indispensabile per genitori ed educatori per poter offrire un supporto che sia realmente sintonizzato sui bisogni dei ragazzi.
La riconfigurazione del mondo scolastico
Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado non è una semplice continuazione del percorso precedente, ma una vera e propria frattura sistemica che riconfigura radicalmente l’esperienza scolastica dello studente. Le differenze strutturali, organizzative e pedagogiche tra i due ordini di scuola sono profonde e impongono un oneroso processo di adattamento psicologico e comportamentale.
Dalla stabilità alla complessità
Una delle discontinuità più significative è la frammentazione delle figure adulte di riferimento. Il modello del maestro unico o prevalente, che per cinque anni ha rappresentato una figura di attaccamento stabile e quasi genitoriale, scompare. Al suo posto, lo studente si trova a interagire con una pluralità di docenti, ciascuno specializzato nella propria disciplina, con stili di insegnamento, aspettative e modalità relazionali differenti. Questo passaggio da una relazione profonda e continuativa a interazioni multiple, più formali e frammentate, può generare un senso di disorientamento e smarrimento. Lo studente può sentirsi meno “visto” come individuo, meno compreso nelle sue specificità, perdendo quel legame affettivo che nella scuola primaria costituiva una fondamentale base di sicurezza.
Contemporaneamente, l’architettura sociale del gruppo dei pari subisce un vero e proprio terremoto. I vecchi gruppi, consolidatisi nel corso degli anni, si sciolgono e si ricompongono in modi imprevedibili. Lo studente deve affrontare il compito di navigare nuove amicizie, decifrare dinamiche di gruppo inedite e posizionarsi all’interno di gerarchie sociali più complesse e fluide. In questa fase, la pressione per l’accettazione sociale diventa un fattore dominante. La preoccupazione di essere accettati, di trovare il proprio posto e di non rimanere isolati è una delle ansie principali che accompagnano i ragazzi in questo passaggio, come testimoniano le loro stesse voci: “Saranno simpatici? Mi troverò bene? Avrò argomenti su cui parlare con loro?”.
Le nuove regole del sapere
Accanto alla trasformazione relazionale, si verifica un drastico innalzamento delle richieste sul piano cognitivo e organizzativo. Il curriculum della scuola secondaria è intrinsecamente più complesso, specialistico e astratto. Le singole materie richiedono non solo un maggiore impegno nello studio, ma anche l’attivazione di capacità di analisi critica, di sintesi e di elaborazione che erano meno sollecitate nel ciclo precedente.
Questo salto qualitativo nei contenuti si accompagna a un cambiamento radicale nel “come” si apprende. Il modello didattico della scuola secondaria presuppone e richiede un livello di autonomia e responsabilità personale decisamente superiore. Se nella scuola primaria l’organizzazione del lavoro era in gran parte guidata dall’insegnante, ora lo studente è chiamato a diventare il principale gestore del proprio apprendimento. Deve imparare a pianificare lo studio di molteplici materie, a organizzare i materiali (libri, quaderni, strumenti digitali), a rispettare scadenze differenziate e a gestire un carico di lavoro complessivamente maggiore. Competenze come prendere appunti, rielaborare testi, costruire mappe concettuali, utilizzare la posta elettronica per comunicazioni istituzionali e persino creare semplici presentazioni diventano abilità date per scontate e necessarie per il successo scolastico.
La necessità di sviluppare un metodo di studio personale, efficace e strutturato diventa quindi un imperativo non più procrastinabile. Questa transizione verso l’autoregolazione rappresenta una delle sfide più ardue. Si manifesta qui un potenziale cortocircuito sistemico: la scuola richiede agli studenti l’impiego massiccio di funzioni esecutive superiori – come la pianificazione, l’organizzazione, la gestione del tempo, l’inibizione degli impulsi e la flessibilità cognitiva – proprio in una fase della vita in cui la base neurologica di tali funzioni, la corteccia prefrontale, è ancora in pieno e tumultuoso sviluppo. Si chiede ai ragazzi di agire con una maturità cognitiva che, dal punto di vista neurobiologico, non hanno ancora pienamente raggiunto. Questo “disallineamento sistemico” tra le richieste dell’istituzione e le capacità evolutive dello studente è una fonte primaria di stress, ansia e, in molti casi, di fallimento. Per uno studente neurotipico, questa discrepanza rappresenta una sfida impegnativa; per uno studente con vulnerabilità pregresse, come un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) o un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), può trasformarsi in un ostacolo quasi insormontabile, innescando un circolo vizioso di difficoltà, frustrazione e demotivazione.
Il vissuto emotivo dello Studente
L’impatto della transizione scolastica non si esaurisce nelle sfide organizzative e accademiche. Esso penetra in profondità nel mondo interiore del preadolescente, modellandone il paesaggio emotivo, la percezione di sé e la costruzione della propria identità. Comprendere questo vissuto è cruciale, poiché le reazioni emotive non sono semplici effetti collaterali, ma manifestazioni dirette dei compiti evolutivi che i ragazzi stanno affrontando.
L’architettura dell’identità in costruzione
Il passaggio alla scuola secondaria avviene nel preciso momento in cui la domanda “Chi sono io?” emerge con una forza inedita. Le certezze dell’infanzia, in cui l’identità era in gran parte definita dalla famiglia, iniziano a vacillare. I ragazzi avviano un processo attivo di esplorazione di interessi personali, valori e ideali, cercando nuovi modelli di riferimento al di fuori del nucleo familiare. In questo processo, la scuola diventa il laboratorio sociale primario.
Il gruppo dei pari assume un ruolo speculare di fondamentale importanza. L’accettazione da parte dei coetanei diventa un bisogno primario, un termometro del proprio valore sociale. Il giudizio degli altri, prima meno influente, acquista un peso enorme, trasformandosi in una potente fonte di motivazione ma anche di profonda ansia. Il confronto con i compagni è costante e spesso impietoso, riguardando non solo le capacità scolastiche ma anche l’aspetto fisico, la popolarità e il successo sociale. Testimonianze dirette rivelano la sofferenza legata a questi paragoni: “In più ho visto delle ragazze bellissime e, come al solito, mi sento inferiore e più bruttina di loro ma tanto ci sono abituata”. Questo bisogno di appartenenza e validazione esterna rende i ragazzi estremamente vulnerabili alle dinamiche di gruppo e alle pressioni sociali. Parallelamente, l’autorità genitoriale viene messa in discussione. L’incontro con nuovi docenti e con un ventaglio più ampio di valori portati dai coetanei spinge i ragazzi a sviluppare un pensiero critico verso il sistema etico-morale della famiglia, un passo necessario per la propria “nascita sociale” e per la conquista di una maggiore autonomia.
Ansia, insicurezza e ritiro sociale
Data l’alta posta in gioco sul piano identitario, non sorprende che la transizione sia quasi universalmente associata a un’intensa attivazione emotiva, spesso di segno negativo. La letteratura scientifica e le esperienze cliniche concordano nel descrivere questo periodo come un picco di stress, ansia e preoccupazione. L’ansia si manifesta in forme diverse e interconnesse. L’ansia da prestazione è pervasiva: la paura di ricevere un giudizio negativo, di prendere brutti voti, di non superare le verifiche diventa un pensiero costante. La possibilità della “bocciatura”, un’eventualità remota alle elementari, si trasforma in una minaccia concreta e spaventosa. A questa si somma l’ansia sociale: il timore di non riuscire a stringere nuove amicizie, di essere esclusi, ridicolizzati o, peggio, di diventare bersaglio di bullismo.
Questo stato di tensione emotiva cronica può avere conseguenze tangibili. A livello psicologico, può erodere l’autostima e la motivazione allo studio. Lo studente che sperimenta insuccessi ripetuti, sia sul piano accademico che sociale, può iniziare a sviluppare una percezione di sé come inadeguato, incapace, “diverso” o un “fallimento”. Questo vissuto di impotenza appresa è particolarmente pericoloso perché può portare al disinvestimento e al ritiro. A livello fisico, l’ansia si somatizza frequentemente. Mal di testa, mal di pancia, nausea, vomito, disturbi del sonno e persino febbri inspiegabili non sono rari. Questi sintomi non devono essere banalizzati come “capricci”, ma interpretati come campanelli d’allarme di un disagio profondo che il ragazzo non riesce a esprimere a parole. In casi estremi, questo malessere può culminare nel rifiuto totale della scuola, una condizione che colpisce una percentuale significativa di studenti, tra l’1% e il 5%.
L’intensità di queste reazioni emotive si spiega con il fatto che, nella mente del preadolescente, le sfide della nuova scuola non sono semplici compiti da svolgere, ma veri e propri test esistenziali. Un brutto voto non è solo un numero su un registro, ma una sentenza sulla propria intelligenza e sul proprio valore. L’esclusione da un gruppo di amici non è un semplice episodio, ma una conferma della propria inadeguatezza sociale. La minaccia percepita non è situazionale, ma attacca il nucleo stesso dell’identità in formazione. È questa la ragione per cui la transizione può diventare un bivio critico, un’opportunità di crescita straordinaria o, al contrario, l’innesco di traiettorie di disagio che possono avere ripercussioni a lungo termine.
Frammenti di un vissuto complesso
Le teorie psicologiche trovano eco e concretezza nelle storie personali dei ragazzi. Le loro testimonianze dipingono un quadro vivido e complesso, un amalgama di emozioni contrastanti. Da un lato, c’è l’entusiasmo per l’avventura, la curiosità per il nuovo e la speranza di conoscere nuovi compagni e professori. Dall’altro, emerge con forza un coro di paure e insicurezze. Un ragazzo di 13 anni, alle prese con le difficoltà scolastiche, viene etichettato come “svogliato” e “pelandrone”, e si trova a dover combattere contro la svalutazione continua da parte degli adulti, rendendo quasi impossibile credere di “essere come gli altri”. Un altro, terrorizzato dall’esame di riparazione, sceglie l’abbandono scolastico, convinto che “in qualsiasi altra scuola sarebbe successa la stessa cosa” e tormentato per anni dal senso di fallimento.
Queste storie, in particolare quelle di studenti con difficoltà di apprendimento, mettono a nudo la durezza di un sistema che non sempre sa accogliere la diversità. Un ragazzo dislessico racconta di come un professore, durante l’esame di terza media, lo abbia umiliato pubblicamente dicendo che “è meglio essere normali che dislessici”, provocando in lui un dolore profondo. Un’altra studentessa descrive la sua frustrazione e il suo senso di inadeguatezza di fronte alla matematica, sentendosi “scombussolata e scoraggiata” nel vedere la facilità dei compagni.
Tuttavia, accanto al dolore, emergono anche potenti narrazioni di resilienza e speranza. Un cambio di scuola può rivelarsi salvifico, portando a incontrare insegnanti che “amano il loro lavoro e portano avanti i meno bravi”. La diagnosi di un DSA, sebbene difficile, può finalmente dare un nome alla sofferenza e far capire al ragazzo di “non essere scemo e stupido”. Con il giusto supporto, sia familiare che professionale, e con la scoperta di strategie di studio personali, molti ragazzi superano gli ostacoli, raggiungono traguardi importanti come il diploma e la laurea, e trasformano la loro “diversità” in un punto di forza, sviluppando creatività e una visione d’insieme uniche. Queste esperienze dimostrano che, sebbene la transizione sia un percorso irto di difficoltà, essa racchiude anche un immenso potenziale di crescita, un’occasione per scoprire le proprie risorse e per diventare, come dice un ragazzo, “un adolescente abbastanza responsabile”.
Sostenere senza sostituire
Il passaggio alla scuola secondaria non è una sfida solo per i figli, ma anche per i genitori. Essi si trovano a dover navigare un territorio complesso, bilanciando il bisogno di proteggere e sostenere con la necessità di promuovere l’autonomia. Il loro ruolo è fondamentale, ma è anche costellato di insidie psicologiche che, se non riconosciute, possono involontariamente ostacolare proprio quel processo di crescita che desiderano favorire.
L’ansia di riflesso
I “genitori elicottero” (helicopter parents), nel tentativo di spianare la strada ai figli, mettono in atto comportamenti ipercontrollanti e intrusivi: controllano ossessivamente il registro elettronico, si sostituiscono ai figli nello svolgimento dei compiti, intervengono costantemente presso i docenti e limitano la loro autonomia. Questo stile genitoriale, sebbene mosso dalle migliori intenzioni, è stato identificato dalla ricerca come un fattore di rischio significativo per lo sviluppo e il mantenimento di disturbi d’ansia e fobia scolare nei ragazzi.
Il messaggio implicito e devastante che l’iperprotezione trasmette al figlio è: “Tu non sei capace di farcela da solo, quindi devo intervenire io”. Questo atteggiamento mina alla base l’autostima del ragazzo, lo priva dell’opportunità di sperimentare, di sbagliare e di imparare dai propri errori. Invece di sviluppare resilienza e capacità di problem-solving, il figlio impara la dipendenza e la passività. Si crea così un circolo vizioso: l’ansia del genitore alimenta comportamenti iperprotettivi, che a loro volta generano insicurezza e ansia nel figlio, confermando le paure iniziali del genitore in un meccanismo di reciproca influenza. Studi recenti hanno addirittura evidenziato come l’ipercontrollo genitoriale possa lasciare impronte neurofisiologiche nel cervello del bambino, simili a quelle riscontrate in casi di trauma e negligenza, predisponendolo a percepire l’ambiente come minaccioso.
L’equilibrio tra orotezione e autonomia
La sfida per i genitori consiste nel trasformare la propria ansia da motore di controllo a catalizzatore di un supporto efficace. L’obiettivo non è eliminare gli ostacoli, ma fornire al figlio gli strumenti per superarli. Questo richiede un cambiamento di paradigma: da un modello di protezione a uno di accompagnamento e responsabilizzazione. Le strategie più efficaci si muovono lungo alcune direttrici fondamentali.
La prima è la costruzione di un canale di comunicazione aperta ed empatica. È essenziale creare un ambiente familiare sicuro in cui il ragazzo si senta libero di esprimere le proprie paure, preoccupazioni e frustrazioni senza timore di essere giudicato o minimizzato. Validare le sue emozioni (“Capisco che ti senta ansioso per questa verifica”) è il primo passo per aiutarlo a gestirle.
La seconda direttrice è la promozione di un’autonomia graduale. L’autonomia non si concede da un giorno all’altro, ma si coltiva attraverso piccoli passi quotidiani. Coinvolgere il ragazzo nella preparazione del materiale scolastico, affidargli le chiavi di casa, insegnargli a gestire piccole commissioni o a prepararsi un pasto semplice sono tutte conquiste che costruiscono fiducia nelle proprie capacità. Un aspetto cruciale è aiutarlo a strutturare una routine pomeridiana che bilanci studio, riposo e tempo libero. Creare insieme a lui una tabella di marcia o un cartellone con le scadenze lo aiuta a visualizzare gli impegni e a sviluppare capacità di pianificazione, senza che sia il genitore a dover ricordare costantemente ogni cosa.
La terza strategia è la costruzione di un’alleanza con la scuola. Un rapporto di fiducia e collaborazione con gli insegnanti è un predittore chiave del successo formativo. Partecipare attivamente alla vita scolastica, dialogare con i docenti in modo costruttivo e non inquisitorio, e fare rete con le altre famiglie crea un ecosistema di supporto coeso intorno al ragazzo.
Infine, il ruolo più difficile e importante per un genitore è quello di modello di comportamento. Il modo in cui un genitore gestisce la propria ansia, affronta le difficoltà e reagisce ai fallimenti è l’insegnamento più potente. Per fare ciò, è fondamentale che il genitore stesso intraprenda un percorso di consapevolezza, riconoscendo le proprie paure e lavorando per gestirle. A volte, il supporto più efficace per un figlio ansioso è un percorso di sostegno per il genitore ansioso, perché spezzare la catena della trasmissione intergenerazionale dell’ansia è il dono più grande per liberare il figlio e permettergli di affrontare il mondo con le proprie forze.
L’alleanza educativa
Il successo della transizione dalla scuola primaria alla secondaria non dipende esclusivamente dalla dinamica familiare, ma è profondamente influenzato dall’ecosistema educativo nel suo complesso. Le istituzioni scolastiche giocano un ruolo proattivo e determinante nel mitigare le criticità di questo passaggio. La loro capacità di costruire ponti e di offrire un’accoglienza strutturata diventa un fattore cruciale, specialmente per gli studenti che presentano vulnerabilità specifiche.
Il ruolo della scuola e della comunità educante
La consapevolezza della delicatezza di questa fase ha spinto il sistema scolastico a sviluppare pratiche mirate a garantire la continuità del percorso formativo. Questi interventi si concretizzano principalmente in due tipologie di iniziative: i “Progetti Continuità” e i “Progetti Accoglienza”.
I Progetti Continuità, spesso chiamati anche “progetti ponte”, sono attività strutturate che si svolgono durante l’ultimo anno della scuola primaria e mirano a creare un collegamento organico con la futura scuola secondaria. Le finalità di questi progetti sono molteplici: favorire un passaggio sereno e consapevole, prevenire il disagio e l’abbandono scolastico, e promuovere la socializzazione. Le attività concrete possono includere visite programmate alla nuova scuola per familiarizzare con gli spazi e i laboratori, “mini-lezioni” tenute da docenti della secondaria per dare un assaggio delle nuove metodologie, e laboratori didattici condivisi tra le classi ponte (quinte primarie e prime secondarie). Un aspetto fondamentale di questi progetti è il raccordo tra i docenti dei due ordini di scuola, che si incontrano per condividere informazioni sugli alunni in arrivo, armonizzare gli stili di insegnamento e costruire un curricolo verticale più coerente.
I Progetti Accoglienza, invece, si concentrano sui primi giorni e le prime settimane del nuovo anno scolastico. L’obiettivo è favorire la creazione di un clima di classe positivo, facilitare la conoscenza reciproca tra gli studenti e introdurre le nuove regole in un contesto supportivo e non ansiogeno. Spesso si utilizzano attività ludiche, motorie e creative, come giochi di gruppo, orienteering all’interno dell’istituto o attività di autopresentazione creativa. Una strategia particolarmente efficace è quella della peer education, in cui studenti più grandi (tutor) accolgono e guidano le matricole, agendo come modelli positivi e figure di riferimento più vicine e accessibili rispetto agli adulti. L’esistenza stessa di questi progetti rappresenta un’ammissione da parte del sistema educativo della natura potenzialmente “traumatica” della transizione e costituisce un intervento sistemico essenziale per attutirne l’impatto.
Quando la sfida è amplificata
Se la transizione è una sfida per tutti, per gli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES) essa rappresenta un momento di rischio amplificato, in cui le vulnerabilità preesistenti possono essere esacerbate dalle nuove e maggiori richieste.
Per gli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), come dislessia, disgrafia o discalculia, il passaggio alla scuola secondaria è un punto di svolta critico. L’aumento esponenziale del carico di lavoro, la maggiore richiesta di velocità di lettura e scrittura, e la necessità di un’organizzazione autonoma possono sovraccaricare le loro strategie di compensazione. Le loro paure sono specifiche: il timore di essere etichettati o presi in giro per l’utilizzo di strumenti compensativi (come la sintesi vocale, le mappe concettuali o la calcolatrice), un’autostima già fragile messa a dura prova, e la necessità di dover “ricominciare da capo” nel far riconoscere i propri diritti e le proprie necessità a un corpo docente completamente nuovo. Il supporto per questi studenti si basa sull’applicazione rigorosa della Legge 170/2010, che garantisce il diritto a un Piano Didattico Personalizzato (PDP) con misure compensative e dispensative adeguate. È fondamentale una stretta collaborazione tra famiglia e scuola per definire e aggiornare il PDP, promuovere l’uso efficace delle tecnologie assistive e, soprattutto, aiutare lo studente a sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio stile di apprendimento e a diventare un autonomo utilizzatore dei propri strumenti.
Per gli studenti con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD), l’ambiente della scuola secondaria può essere particolarmente ostile. La struttura meno contenitiva, la necessità di rimanere attenti per periodi più lunghi, la gestione di molteplici stimoli e la richiesta di un maggiore autocontrollo e pianificazione si scontrano frontalmente con i sintomi cardine del disturbo: disattenzione, iperattività e impulsività. Questi studenti rischiano di essere fraintesi, etichettati come “pigri”, “svogliati” o “maleducati”, e di incorrere in continue sanzioni disciplinari. Le strategie di gestione efficaci in classe includono la strutturazione chiara delle lezioni, l’alternanza di attività e pause frequenti, la scomposizione dei compiti in sotto-obiettivi più piccoli, l’uso di rinforzi positivi e la creazione di un ambiente di lavoro prevedibile e con poche distrazioni. Anche in questo caso, la comunicazione costante tra scuola, famiglia e specialisti è la chiave per costruire un percorso di successo. Per entrambi i gruppi di studenti, i “Progetti Ponte” assumono un’importanza vitale, trasformandosi da semplice attività di accoglienza a un processo formalizzato e indispensabile per il trasferimento di informazioni, strategie e supporti, evitando che il passaggio di ciclo si traduca in una perdita di continuità assistenziale e didattica che potrebbe compromettere l’intero percorso futuro.
Prospettive a lungo termine
Il passaggio dalla scuola primaria alla secondaria non è un evento isolato le cui conseguenze si esauriscono nel primo anno di adattamento. Al contrario, esso rappresenta un bivio critico, un punto di snodo evolutivo il cui esito può influenzare in modo significativo la traiettoria di vita di un individuo. Una transizione gestita con successo può rafforzare l’autostima, la motivazione e le competenze, ponendo le basi per un percorso scolastico e personale positivo. Al contrario, un’esperienza di transizione fallimentare, caratterizzata da insuccessi accademici, isolamento sociale e un crollo della fiducia in sé, può innescare un processo di disaffezione e disinvestimento nei confronti della scuola con effetti a lungo termine potenzialmente devastanti.
Questo processo di allontanamento progressivo è noto come dispersione scolastica, un fenomeno complesso e multidimensionale che non si riduce al solo abbandono, ma include anche l’insuccesso, la demotivazione e la cosiddetta “dispersione implicita”, ovvero il completamento del percorso di studi senza aver acquisito le competenze di base. Per gli studenti più vulnerabili, una transizione difficile alla scuola secondaria di primo grado può rappresentare il primo, decisivo passo su questa china pericolosa. L’accumulo di frustrazioni, il senso di inadeguatezza e la percezione della scuola come un luogo di sofferenza piuttosto che di opportunità erodono il legame con l’istituzione, fino a spezzarlo.
Il quadro statistico italiano relativo all’abbandono scolastico precoce (Early School Leavers – ESL) conferma la gravità del problema. Nonostante alcuni miglioramenti, l’Italia continua a registrare tassi di abbandono superiori alla media europea, con profonde disuguaglianze interne. I dati ministeriali relativi proprio alla scuola secondaria di primo grado, il teatro della transizione in esame, offrono una fotografia precisa dei fattori di rischio.