Donne in carriera
Giornalista e autrice specializzata nel vino, Laura Donadoni vive negli Stati Uniti dove ha fondato La Com Wine Agency, un’agenzia di comunicazione focalizzata sul vino e la sua community The Italian Wine Girl con oltre 70 mila appassionati di cultura, vino e storie d’ispirazione. Ha un seguitissimo blog e ha pubblicato 3 libri e 2 podcast, è tra i 40 under 40 leaders del vino italiano secondo Repubblica. È giudice nelle gare vinicole internazionali e tra i pochissimi Vinitaly International wine ambassador. www.theitalianwinegirl.it
Ciao Laura, partiamo da questo se sei d’accordo. Francia e Italia sono da sempre rivali in diversi settori. Chi vince la sfida del vino?
Alla sudditanza psicologica del mondo del vino italiano rispetto alla Francia ho dedicato un episodio del mio podcast che è risultato il più ascoltato in assoluto! Se dovessi riassumere direi che sul rapporto qualità prezzo vince l’Italia, sulla finezza in certe categorie vince la Francia, d’altra parte producono vino di qualità da secoli, molto più dell’Italia. Sulla capacità di credere nel proprio prodotto e vendersi quindi a caro prezzo vince la Francia. Ed è proprio questo il nostro principale problema.
Il settore vinicolo è importantissimo per la nostra Italia. Abbiamo la fortuna di avere delle eccellenze incredibili e professionisti di livello altissimo, come tutte quelle figure che si occupano di comunicazione e creano etichette favolose. A proposito di etichette, ma è vero che il vino nuove gravemente alla salute? Cosa pensi di questa vicenda?
Penso che ci sia una grande manipolazione politica dell’informazione. Sono rimasta molto male da come i rappresentanti illustri delle associazioni di categoria e dello stato italiano abbiano marciato per giorni su un messaggio travisato. Nessuno, nemmeno l’Irlanda, ha invitato a non consumare vino, tantomeno quello italiano (che ci hanno invece fatto credere fosse messo a rischio da queste famigerate etichette di avvertimento). L’Irlanda così come altri paesi nel mondo ha scelto di cercare di rendere più consapevoli i consumatori sui rischi legati all’abuso di alcol che è senza dubbi cancerogeno. Ci sono molti studi scientifici che mostrano la diretta relazione tra consumo di alcol e certi tipi di tumore. Scriverlo in etichetta o no? C’è chi dice che non serve a niente, ma se servisse anche solo in un caso a evitare l’abuso e a far bere meno e meglio, perché non scriverlo? Negli usa questi warnings sono obbligatori da decenni e il consumo di vino è aumentato, quindi…
Stai avendo una grande carriera e nel settore possiamo tranquillamente dire che “hai un nome”. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso professionale?
Convincere che conosco il vino anche tecnicamente nonostante sia una donna. È inutile che ci nascondiamo dietro a un dito: ancora oggi nella maggior parte dei casi al ristorante la carta dei vini viene automaticamente consegnata all’uomo.
Come donna e come esperta, cosa consiglieresti a una ragazza per intraprendere una carriera nel settore dei vini? Quali sono le figure professionali più richieste dai produttori?
Le consiglierei di capire davvero quale aspetto del vino le piace di più e di non escludere gli aspetti agronomici o enologici. Automaticamente le donne si buttano nella comunicazione del vino o nell’accoglienza, spesso solo perché non hanno modelli di leadership femminile nei settori tecnici. Invece magari si tagliano loro stesse fuori da professioni a torto considerate maschili.
Dal tuo osservatorio, come sta andando l’esportazione dei vini negli USA? Agli “americani” cosa piace bere?
Il vino più importato in usa in assoluto è il Prosecco, i vini italiani sono apprezzati soprattutto per il rapporto qualità prezzo. Gli “americani” come dico spesso non esistono nel senso che stiamo parlando di un continente e le abitudini di consumo sono molto diverse da zona a zona. Se si è costretti a generalizzare ci sono alcuni trend che stanno durando negli anni: spumanti, vini rosati, vini leggeri e easy drinking, vini naturali e, anche se non piace ai produttori, bevande alcohol free.
Una curiosità. Quando andiamo a cena tra colleghe e amiche, ma spesso anche in famiglia, viene fuori il dilemma. Vini rossi con la carne, vini bianchi con il pesce. Vini rossi a temperatura ambiente, il vino bianco dev’essere bevuto freddo. Ci dici la tua a tal proposito?
Questi “dilemmi” sono figli di una cultura del vino che per anni è stata comunicata come dogmatica ed elitaria. Spesso il sommelier purtroppo è una figura che intimorisce dall’alto del suo sapere anziché un alleato o una guida che ci prende per mano. Io dico che non ci sono regole, ci sono scelte di buon senso: in genere i vini locali si sposano bene con le ricette e i prodotti locali, se un piatto è ricco chiederà un vino che regge il confronto, se consideriamo queste due piccole astuzie viene da sè che un sapore forte come il riccio di mare viene esaltato da un vino intenso e sapido. Si tende ad abbinare per concordanza (sapori simili) o per contrasto (dolce e saporito per esempio), l’importante è che in bocca ci sia armonia. Ognuno poi ha il suo personale concetto di equilibrio. Sulla temperatura: è un dato di fatto che il freddo smorza i sapori e la sensazione alcolica del vino, mentre temperature più calde danno più intensità di aromi, ma esaltano il grado alcolico. Conosco produttori importanti di Brunello che bevono il loro a temperatura da bianco giovane (sui 12 gradi). Dipende dal vino, ma comunque il troppo freddo (le bottiglie in frigo) non aiuta, anzi ammazza molti sentori e rischia di far precipitare gli acidi.
Negli ultimi anni, pare esserci una crescita dei bianchi abruzzesi, nel senso che sovente vengono proposti dai ristoranti e l’impressione è che se ne stia parlando. Voi del settore, avete notato questo trend?
Immagino ti riferisca al mercato italiano… si, Pecorino, Passerina e trebbiano abruzzese hanno sicuramente riscosso più successi oggi rispetto al passato. Credo che il merito sia della nuova generazione di viticoltori e produttori che finalmente ha scelto di puntare sui vini di qualità e sta anche sperimentando con l’invecchiamento o l’affinamento in anfora o cemento di questi vitigni esaltandone le caratteristiche primarie, lasciando quindi emergere la loro personalità senza omologarla in vini convenzionali per il mercato industriale.
Il tuo stupendo lavoro di vede protagonista anche nel settore della carta stampata, sia come giornalista che come scrittrice. Insomma, una donna davvero in carriera. Come si diventa Laura Donadoni?
Laura Donadoni è in costante divenire, credo che accogliere ogni opportunità e ogni cambiamento con entusiasmo anziché con la paura del nuovo, dell’ignoto, sia la chiave per non annoiarsi mai. Rimanere curiosi, non smettere di cercare e di guardare il mondo con occhi di meraviglia. Questo è ciò che mi fa iniziare con gioia le giornate, anche quelle in cui il terrore di non essere all’altezza mi prende (si, questo continua a succedere, noi donne ne sappiamo qualcosa…). Quando è difficile procedere perché l’ansia mi prende cerco di ricordarmi perché faccio quello che sto facendo. Lo faccio per prestigio? Per soldi? Allora l’ansia è positiva perché mi sta dicendo di smettere, di cambiare attività, mi sta dicendo che è uno stress inutile. Lo sto facendo perché è allineato con i miei valori? Perché il solo farlo mi rende soddisfatta, migliore? Allora quell’ansia è solo paura di non essere abbastanza. Va superata.
Se Laura fosse un vino, quale sarebbe e perché?
Sarebbe un vino che è destinato a migliorare con gli anni, un vino che oggi è spigoloso, ma è nato per cercare la sua armonia. Un vino che è consapevole di tutte le forze che l’hanno aiutato ad essere dove è: la terra, il vento, il sole, le cure degli esseri umani che l’hanno pensato per essere amato. Sarebbe un vino vulcanico credo, perché nei vini nati da terreni lavici ci sono tanti contrasti, io mi sento così, una sintesi di contrasti…
Siamo alla fine, ci piacerebbe sapere qualcosa di te. Sentititi libera, raccontaci tu.
C’è un amore inconfessato che coltivo quotidianamente. È diventato quasi un’ossessione: il gelato. Sono davvero in fissa con la ricerca del gelato perfetto, ho una mappa su Google maps con tutte le bandierine delle gelaterie che ho recensito. Per me il metro di paragone è il cono con cioccolato fondente (quello senza latte) e un gusto con la frutta secca (pistacchio, mandorla, nocciola o noce…). In quel boccone, quando mordi un po’ di cialda e prendi un po’ di gelato c’è la perfezione: cremositá, sapore intenso (soprattutto se il cioccolato è fatto ad arte) e croccantezza. Un rito, un momento di mindfulness. E di dolcezza che non guasta mai.